La storia di Cristina Magrini
Per meglio far comprendere a cosa realmente possa rappresentare la tragedia del coma per l’ammalato quanto per la sua stessa famiglia pubblichiamo la storia di ROMANO MAGRINI papà di CRISTINA, in coma da oltre trenta anni e da lui accudita a tempo pieno, da diciotto anni cioè dal giorno della scomparsa di sua moglie.
Romano Magrini è in pensione da quel maledetto 18 novembre del 1981, quando, a Bologna, la quindicenne Cristina venne investita sotto casa «mentre, sulle strisce pedonali, correva dalla mamma a raccontarle che aveva preso un bel voto».
Da quel giorno la ragazza è in coma, mentre il padre non ha cessato di assisterla, giorno e notte, specie dopo che nel gennaio 1992 ha perso la moglie, Franca Gandolfi, stroncata da un tumore.
«Io vivo per mia figlia – dice Magrini – Non conosco il riposo, lo svago ne’ il mondo esterno se non attraverso la Tv.
Ma io sono arrivato. Ho già molti anni e questi passati a fare il medico, l’infermiere, il fisioterapista, l’autista, il cuoco ed il padre valgono almeno il doppio.
Io morirò. E mia figlia che fine farà?
L’APPELLO DI PAPA’ MAGRINI
Si sentono tanti discorsi sull’eutanasia. Sembra che il problema sia solo se continuare ad assisterli o farli morire con dignità.
Però non si parla dei tanti giovani che in seguito a incidenti rimangono in coma; quelli si scaricano alle famiglie e tutto tace; qui l’accanimento è fare nulla.
Sono il padre di una ragazza che è in coma dal 18 novembre 1981.
Stampa e televisione hanno molto parlato del caso coinvolgendo loro malgrado le forze politiche, così è cominciata la favola del fare niente.
Sono solo dalla fine del 1991, ho 77 anni; quanto posso resistere ancora?
Mia figlia non ha una piaga da decubito, un’infezione di alcun genere, perché è curata senza interruzione, questo però vuol dire per me lavori forzati e arresti domiciliaci.
Non mi lamento della vita che conduco: ho mia figlia e sono utile.
Però se fossi un buon padre, sapendo quello che l’aspetta se venissi a mancare (sondina nel naso per alimentarla, tracheotomia per aspirarla, piaghe da decubito e infezioni), dovrei ucciderla.
Se lo facessi, la cosa sarebbe liquidata con la frase di comodo «dramma della follia».
Per la pace di tanti e la riflessione di pochi. Dunque chi si occuperà di mia figlia alla mia morte?
Romano Magrini, Sarzana (La Spezia, 2010)